Il ritorno della “sovranità”

Se si vuole capire in pillole la dottrina che sta per diventare dominante nelle relazioni internazionali, la si può trovare efficacemente espressa nel primo discorso di Trump davanti alle Nazioni Unite (vedi l’originale e i punti principali in italiano qui ). Nel discorso di Obama del 2009 il termine “sovranità” compare una sola volta. In quello di Trump “sovrano” e “sovranità” appaiono 21 volte. Lo ha fatto davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ossia davanti all’organizzazione nata per superare i disastri dell’assolutizzazione del concetto di sovranità in età moderna e contemporanea, quando si è cercato di sottrarre all’arbitrio assoluto dei poteri statali la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo e dei popoli e si è cercato di porre – sia pure in modo timido e contraddittorio – un limite, se non altro procedurale, alla più tipica espressione di un certo modo di intendere la sovranità, ossia il diritto alla guerra.

Trump ha avanzato un’originale interpretazione dell’ONU dicendo che sarebbe basata sull’idea che “nazioni diverse possono cooperare per proteggere la loro sovranità, preservare la loro sicurezza e promuovere la loro prosperità” e che “lo Stato-nazione rimane il miglior veicolo per elevare la condizione umana”. Di qui l’idea che pace, sicurezza e prosperità possano essere garantite solo da “forti nazioni sovrane” capaci di combattere le minacce di terrorismo e stati canaglia. Insomma niente di nuovo se si guarda al passato, perché sembra una riedizione del sistema di Westfalia, ossia del sistema che ha governato l’Europa in età moderna come sistema basato sull’equilibrio di “forti Stati sovrani”. Peccato che quel sistema fosse basato sul predominio dell’Europa sul resto del mondo (non trattato come “pari”) e fosse caratterizzato da un continuo confronto militare tra le parti tanto da spingere liberali democratici socialisti  dal ‘700 in avanti a sperare in un ordine diverso, attraverso dottrine e pratiche internazionaliste. Il demone nazionalista si è poi scatenato con gli esiti che conosciamo e la speranza – appunto incarnata dalle Nazioni Unite – di un superamento della logica dello Stato sovrano assoluto.

Trump rilancia una prospettiva diversa. Non più un mondo diviso in due blocchi ideologici come dopo la Seconda Guerra mondiale, né un mondo integrato con più forti istituzioni internazionali e la forza militare dei singoli, anche del più forte, al servizio di questa comunità universale, ma un nuovo ordine mondiale basato tra un equilibrio tra nazioni forti sovrane, in cui la più forte militarmente ambisce a continuare a rimanere gli Stati Uniti d’America e il suo sistema di alleanze dall’Europa all’Asia. Gli Stati Uniti non si rifugiano nell’isolazionismo ma intendono difendere – come “forte nazione sovrana” – il proprio primato mondiale rafforzando la propria posizione in tutti gli scacchieri con una logica di “containment” nei confronti delle altre parti e dunque sulle linee di confine (dall’Afghanistan alla Corea).

In questa prospettiva l’ONU diviene un mero strumento di cooperazione. Naturalmente questa interpretazione dell’ONU è piuttosto discutibile. La Carta, naturalmente, ricorda come l’ONU si basi sul principio dell’”uguale sovranità” degli Stati contraenti, ma la sua ispirazione non è certo sovranista. Si pensi alla Costituzione italiana in cui si parla apertamente di consentire “, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” (art. 11), nella convinzione che la causa della pace e anche dei diritti umani possono essere meglio servite da un ordinamento che – a parità di condizioni tra i contraenti – possono limitare la sovranità come potere assoluto.

Per il nostro Paese dal 1948 non possiamo più dire che “lo Stato-nazione rimane il veicolo migliore per elevare la condizione umana”: con forza abbiamo scelto un’altra strada che ci ha fatti entrare in un sistema più ampio sia giuridico che politico, rappresentato dal sistema delle convenzioni sui diritti umani e dalle diverse istituzioni europee. E sul piano della moneta e della difesa – settori in cui storicamente si esprimeva la sovranità dello Stato nazione – siamo già entro una più ampia comunità.

Paradossalmente il richiamo di Trump a un mondo di “forti nazioni sovrane” per noi può significare solo una cosa: rafforzare l’Europa come comunità politica perché dentro il mondo di domani nessuno Stato nazione europeo può farcela da solo e può da solo garantire ai propri cittadini una migliore “condizione umana”. E, al tempo stesso, rafforzare l’ordinamento internazionale e la comunità internazionale come strumento di limitazione degli arbitri del potere sovrano nel confronto degli individui e dei popoli.

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