Sul superamento del Regolamento di Dublino

Martedì 29 settembre sono intervenuto in Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa in occasione del dibattito sul mio rapporto ‘Dopo Dublino: il bisogno urgente di un sistema di asilo europeo’

 

Grazie Presidente.

La discussione di questo rapporto si colloca, come abbiamo sentito, in un momento drammatico e già il dibattito generale introdotto dalla Presidente BOLDRINI e dal Segretario JAGLAND, e animato da tanti colleghi, ha messo chiaramente in luce le dimensioni umane di ciò che stiamo discutendo: il dovere per noi, come singoli e come istituzioni, di rispondere a questa sfida, forse la più difficile dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

Questa grande tragedia umanitaria richiede una risposta su molti piani. Com’è stato detto, anzitutto, la nostra coscienza morale e poi il nostro modo di vedere il mondo, il nostro impegno politico, le nostre risorse economiche e altro ancora. Ma per evitare che questa risposta rimanga generica, è essenziale che ognuno di questi livelli sia preso in considerazione nella sua dimensione specifica. Ciò che questo rapporto si propone di affrontare è un aspetto di questo problema. Il regolamento di Dublino e la sua applicazione è dunque essenzialmente un fatto di natura giuridica. Questo, d’altra parte, è il nostro piano specifico. I nostri pilastri sono i diritti umani, rule of law e la democrazia, non solo come modo di vivere ma anche come forma di ordinamento giuridico. E allora, su questo piano, nell’introdurre questo rapporto e la sua discussione, dobbiamo ricordare a noi stessi alcuni elementi fondamentali.

Il primo di questi è che il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni – è una citazione, articolo 14, della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo – è un diritto umano fondamentale sancito dalla dichiarazione e da una serie ininterrotta di convenzioni e trattati internazionali. È vero, si tratta di un diritto scomodo. Scomodo in primo luogo per chi lo rivendica, perché la sua vita è in pericolo. E talvolta scomodo anche per chi deve cercare di rispondere a questa rivendicazione perché egli stesso si può trovare in difficoltà. Ma tutto questo non lo rende meno fondamentale, anzi, talvolta è un diritto più urgente di altri, perché il suo godimento può mettere in discussione la vita stessa.

Dunque, come gli altri diritti fondamentali, e talvolta più di altri diritti fondamentali, implica, negli altri esseri umani, in ciascuno di noi, un’obbligazione a rispondervi. Noi lo sappiamo: senza un dovere corrispondente, ogni diritto resta una vana pretesa. Dipende dagli altri quanto al suo rispetto, ma il diritto d’asilo in quanto diritto fondamentale deriva dalla persona stessa e non dallo Stato che eventualmente accoglie la persona che richiede asilo.

Tra i molti diritti questo è un diritto costitutivamente internazionale: lo dice la stessa Dichiarazione dei diritti dell’uomo quando parla di altri paesi. Più di altri diritti, questo è un diritto che richiama il fatto che la comunità internazionale è una unica comunità che aspira ad avere un unico ordinamento giuridico. Non è quindi fuori luogo chiedere una risposta internazionale, una cornice internazionale, un impegno internazionale per rispondere a questa sfida.

La Convenzione di Ginevra è fondata su questo approccio ed è del tutto evidente che tutti gli Stati firmatari si obbligano al riconoscimento di uno status comune del rifugiato e di mutuo riconoscimento, anche se questo è rimasto implicito. Anche la nostra organizzazione, il Consiglio d’Europa, e l’Unione Europea si sono mosse in questi anni nell’orizzonte di un approccio comune, di un approccio europeo che prevede principi, status, standard, regole comuni e anche il regolamento di Dublino è stato pensato in questa prospettiva.

Nel 1999 il Consiglio dell’Unione europea ha preso un chiaro impegno a Tampere per la costruzione di un sistema comune di asilo europeo basato, cito, su una procedura comune e uno status uniforme per i rifugiati, valido in tutta l’Unione. Lo stesso concetto lo troviamo solennemente scritto nel trattato di Lisbona, articolo 78, dove si parla di “uniform status of asylum for nationals of third countries valid throughout the Union, and a uniform status of subsidiary protection”. E così, negli stessi documenti si trovano chiari riferimenti al principio del “mutual recognition” tra gli Stati membri. Un principio che è alla base della cooperazione giuridica dell’Unione in moltissimi settori. Senza questo principio il nostro diritto comune non potrebbe funzionare e di fatto già si trova anche nel regolamento di Dublino per quanto riguarda alcune decisioni. Perché se uno Stato membro rigetta la domanda di asilo, questo rifiuto viene riconosciuto reciprocamente dagli altri Stati membri. Già nel regolamento di Dublino, dunque, esiste, sia pure nel suo momento negativo, il principio del mutual recognition.

Il limite di questo regolamento è stato quello di essersi trovato da solo a regolare una materia non regolata da un sistema più comprensivo, rispettoso dei diritti umani ed equo nella distribuzione del carico. Per questo è arrivato al collasso quando la pressione si è fatta più forte. Noi non vogliamo abolire gli aspetti positivi di questo regolamento che già prevedono dei meccanismi di responsabilizzazione degli Stati. Sarebbe grave se noi tornassimo alla fase precedente in cui nessuno Stato è obbligato a prendersi carico di chi chiede asilo. Ma certamente vi sono dentro questo regolamento degli aspetti problematici, come il criterio del paese del primo arrivo.

Nel 2015 sono arrivati nell’Unione europea, nella prima metà, nei primi sei mesi, cinquecentomila richiedenti asilo. Centomila all’est, quattrocentomila al sud, di cui duecentocinquantamila in Grecia e centocinquantamila in Italia. Possiamo accettare che siano questi paesi o i loro vicini a farsi carico di questi numeri? Assistenza in mare, assistenza a terra, esame delle domande, accoglienza, integrazione? Già alcuni Stati – penso all’Austria e alla Germania – hanno preso iniziative che di fatto sbloccano questo rigido meccanismo. Ma proprio perché vogliamo meccanismi seri di identificazione, registrazione, selezione delle domande, e accoglienza, chiediamo un’urgente revisione. Chiediamo all’Europa, a noi stessi, non di stravolgere i propri principi ma semplicemente di applicarli. Applicare le convenzioni internazionali, applicare il trattato di Lisbona, applicare le decisioni dell’Unione europea in modo serio e coerente. Tornare, cioè, alle nostre radici, a quelle radici da cui è nata l’Europa che ha saputo superare le macerie della Seconda Guerra Mondiale riconoscendo innanzitutto nei più deboli, nei richiedenti asilo, persone degne di tutela.

Grazie della vostra attenzione.

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