Sulla legge elettorale

Nei giorni scorsi, dopo la discussione e l’approvazione in Commissione Affari costituzionali, è cominciata alla Camera la votazione sulla legge elettorale, la cui proposta è nata da un accordo tra i quattro principali partiti (PD, Movimento 5 stelle, Lega Nord e Forza Italia).

L’accordo prevedeva un sistema elettorale proporzionale su base nazionale, con soglia di sbarramento al 5%, caratterizzato da voto unico e – per l’assegnazione dei seggi distribuiti con metodo proporzionale – dalla presenza di collegi uninominali (225 alla Camera e 112 al Senato) e di liste bloccate brevi che permettessero un più forte collegamento tra eletti ed elettori.

Come ho già scritto nella precedente newsletter, si tratta di un accordo che in parte tradisce la vocazione maggioritaria che negli ultimi decenni ha connotato le proposte del centrosinistra.

Un accordo che presupporrebbe quindi, per rispondere ad una visione di lungo periodo e per rimanere nell’alveo maggioritario, l’adozione di alcune misure complementari (sfiducia costruttiva, poteri del premier ecc.) volte a razionalizzare la nostra democrazia parlamentare. Nell’attuale fase, anche alla luce delle dinamiche sovranazionali, è infatti cruciale prevedere meccanismi che garantiscano stabilità all’esecutivo e un più forte e diretto rapporto tra cittadini e Governo.

Come è noto, dopo l’approvazione dell’emendamento Biancofiore che prevedeva la cancellazione dei collegi uninominali maggioritari nel nostro territorio e l’uniformazione del sistema a quello nazionale, le votazioni sulla proposta di legge elettorale sono state sospese e il testo è stato rinviato in Commissione. Il mantenimento del sistema elettorale trentino era infatti parte integrante del suddetto accordo, che è così venuto meno.

Al di là delle polemiche e delle reciproche accuse e tornando al merito dell’emendamento, votando contro abbiamo cercato di impedire un vulnus ai danni della specificità del Trentino Alto Adige che si basa su precisi accordi internazionali.

Quello previsto per la nostra regione è un impianto elettorale che ha superato anche il vaglio della Corte Costituzionale e che prevede otto collegi maggioritari e listini proporzionali.
Al Senato, dal 1948 ad oggi, sono sempre stati previsti i collegi uninominali, anche durante gli anni del Porcellum. Questo perché a livello territoriale i collegi piccoli meglio consentono di rappresentare le specificità delle minoranze linguistiche, sia di quella tedesca che di quella italiana in Trentino Alto Adige.

Non si tratta affatto di un privilegio, ma di un modello che intende rappresentare le minoranze, la cui valorizzazione è alla base della nostra autonomia e della nostra capacità di garantire un equilibrio e una pacifica convivenza tra gruppi linguistici.
E’ falso dire che è un accordo di una parte contro l’altra: in passato con questo modello hanno potuto vincere sia il centrodestra che il centrosinistra. Con questo abbiamo quindi voluto difendere un modello di convivenza che ci è invidiato in tutta Europa.

Sulla questione delle quote di genere, invece, a proposito della quale in questi giorni si sono consumate molte polemiche, il PD ha presentato un emendamento tecnico per estendere le quote già previste a livello nazionale (60 e 40) anche al Trentino Alto Adige. Nessun escamotage quindi, ma l’adattamento di tale misura anche al nostro territorio, ove sono previste anche le coalizioni (qui trovate un articolo dove spiego dettagliatamente la questione).

Qui trovate alcune mie considerazioni sull’emendamento Biancofiore sulla base dei numeri che hanno caratterizzato le precedenti elezioni in Trentino Alto Adige.

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