La legge elettorale sia fatta dalle Camere

La legge elettorale sia fatta dalle Camere (pubblicato oggi sul quotidiano l’Unità).

 

Occorre rafforzare immediatamente l’iniziativa parlamentare di ripristinare il Mattarellum, ora autorevolmente sostenuta dal PD attraverso il voto dell’Assemblea Nazionale, perché nessuno può seriamente pensare di affidare la soluzione del problema alla Corte Costituzionale.

Spetta infatti al legislatore, ancorché inerte o pasticcione, il compito di legiferare in materia e pensare di attribuire alla Corte tale compito, direttamente o indirettamente, comporta un’evidente alterazione delle sue funzioni. Tanto più paradossale perché giungerebbe all’indomani del referendum del 4 dicembre scorso che ha bocciato, tra le molte cose, anche il giudizio preventivo della Corte in materia elettorale.

Più volte la stessa Corte ha ricordato che la «determinazione delle formule e dei sistemi elettorali costituisce un ambito nel quale si esprime con un massimo di evidenza la politicità della scelta legislativa» (sentenza n. 242 del 2012; ordinanza n. 260 del 2002; sentenza n. 107 del 1996) e che quindi la Carta costituzionale «lascia alla discrezionalità del legislatore la scelta del sistema che ritenga più idoneo ed efficace in considerazione del contesto storico» (sentenza n. 1 del 2014).

Come la Corte ci ricorda, sarebbe dunque del tutto incostituzionale affidarle il compito di scegliere – direttamente o indirettamente – tra maggioritario e proporzionale.

La Corte ha il dovere di rilevare i profili di incostituzionalità di tutte le leggi, ivi comprese quelle elettorali (cosa che ha fatto con la sentenza che ha dichiarato illegittimi alcuni tratti della legge del 2005), ma, nemmeno per sottrazione, può produrre un sistema elettorale opposto a quello voluto dal legislatore. E, se è il Parlamento che ha l’esclusivo potere di stabilire la legge elettorale, la Corte sa perfettamente che, con singolare continuità, dopo l’esito del referendum del 1993 in cui il voto popolare si è espresso con impressionante incisività a favore del sistema maggioritario nell’elezione dei senatori (votarono il 77% degli aventi diritto e l’82% di essi si espressero favorevolmente), per tre volte la scelta politica e discrezionale del legislatore si è espressa a favore di un sistema tendenzialmente maggioritario (nel 1993 con la legge Mattarella, nel 2005 con la legge Calderoli, nel 2015 con il cosiddetto Italicum). L’ultimo pronunciamento a favore del maggioritario (quello dell’Italicum) si è avuto dopo la sentenza del gennaio 2014. Dunque il Parlamento, accogliendo i rilievi della Corte, ha ribadito la volontà del legislatore di rimanere nel solco di un sistema maggioritario.

Se ora la Corte, dopo questa ulteriore e chiara espressione della volontà del legislatore, desse vita, sia pure per via di sottrazione, a un sistema proporzionale auto-applicantesi significherebbe, di fatto, attribuirsi un potere che la Costituzione, per sua stessa solenne ammissione, riserva in via esclusiva al Parlamento ed, ancor più, entrerebbe in contrasto con la volontà del legislatore, istituendo, sia pure indirettamente, un sistema elettorale basato su una scelta “politica” opposta a quella deliberata dalle Camere.

A poco servirebbe giustificare un tale intervento affermando che il Parlamento potrebbe in ogni caso legiferare nuovamente in materia, scegliendo liberamente tra un modello maggioritario e uno proporzionale. Non siamo all’inizio della legislatura ma nella sua parte finale e proprio quell’inerzia del Parlamento – più volte denunciata dalla Corte – potrebbe essere ulteriormente incentivata dall’esistenza di una decisione auto-applicantesi. In ogni caso tale decisione, se contenesse in sé anche indirettamente una scelta di sistema, verrebbe comunque usata nel dibattito politico come elemento a favore di questo o quello schieramento, che già si è pronunciato nel dibattito pubblico. In tal modo la Corte sarebbe trascinata nell’ambito delle scelte politiche – per dirla di nuovo con le sue parole – nell’ambito “nel quale si esprime con un massimo di evidenza la politicità della scelta legislativa”. Si avrebbe così una indesiderata politicizzazione della Corte.

È dunque davvero irresponsabile oltre che illusorio da parte di parlamentari attribuire un tale compito alla Corte. Vorrebbe dire alimentare la spirale della delegittimazione delle istituzioni: sancire l’incapacità del Parlamento di fare le leggi, trascinare un organo terzo nel gioco delle parti politiche.

Il Governo Gentiloni ha lasciato al Parlamento questo compito. Il Presidente della Repubblica ha richiamato al dovere supremo di avere una legge armonica tra le due Camere (cosa che in nessun caso – per semplice sottrazione – la Corte potrebbe fare) e applicabile in modo tecnicamente appropriato. Il Parlamento dimostri di avere un sussulto di orgoglio: la vera immoralità politica sarebbe far fare agli altri ciò che solo il Parlamento può e deve fare. Per obbligo costituzionale e per mandato politico.

Si pensi dunque, piuttosto, ad accelerare i tempi della discussione. Per questo ha un senso ripartire dal Mattarellum. L’ultimo testo costituzionalmente non controverso. Spinto dalla volontà popolare del referendum del 1993, orientato a una logica maggioritaria temperata che dal 1993 il nostro Parlamento non ha mai smentito, ha consentito a schieramenti diversi di giungere al Governo, consentendo, pur con le difficoltà che conosciamo, ai cittadini di “determinare la politica nazionale” con il loro voto: avviando la “rivoluzione liberale” del centrodestra e il “sogno dell’Ulivo” del centrosinistra. Questo chiedono i cittadini che vanno a votare: poter contare e introdurre con le proprie scelte dei cambiamenti. Sarebbe tradire il loro potere sovrano costruire per inerzia sistemi che ci trascinano tutti nella palude della irresponsabilità.

Il Parlamento non scarichi sulla Corte le sue difficoltà e ritrovi il gusto della discussione e della composizione del pluralismo in una volontà comune.

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