Sulla riforma costituzionale

Questa settimana ho partecipato a due incontri sulla riforma costituzionale in vista del referendum di ottobre. Lunedì sono intervenuto a Roma ad un convegno dal titolo “In vista del referendum sulla riforma costituzionale. Orientamenti e proposte” nel quale ho rappresentato la posizione del PD e mi sono confrontato con gli esponenti degli altri partiti. Giovedì ho invece partecipato a Brescia ad un incontro dal titolo “Le ragioni della riforma costituzionale”, organizzato dall’associazione Amministrazione etica.

 

Si è trattato di due momenti molto significativi nei quali ho potuto ribadire le buone ragioni di questa riforma che, sebbene perfettibile, contribuisce a migliorare e semplificare il quadro istituzionale del Paese.

Innanzitutto ho ricordato come essa sia il risultato di un processo trentennale: non si tratta di un’iniziativa isolata del Governo Renzi, bensì della conclusione di un percorso lungo e frammentato che è stato caratterizzato da molti tentativi non andati a buon fine. E’ importante ribadire questo aspetto e sottolineare la prospettiva storica per evidenziare che la necessità di riformare, adeguare e modernizzare la nostra Carta Costituzionale è emersa già da molto tempo. Basti pensare che il bicameralismo indifferenziato fu oggetto di dibattito già all’indomani dell’approvazione della Costituzione.

Votare “no” al referendum vorrebbe dire non cogliere la concreta occasione di riformare la Costituzione, superando soprattutto l’anomalia del bicameralismo indifferenziato. La riforma sarebbe potuta certamente essere scritta meglio e ci sono parti che personalmente avrei disciplinato diversamente, ma nel complesso è un testo equilibrato. L’alternativa è rimanere ancora per diversi anni nella situazione attuale con un bicameralismo indifferenziato, con la necessità di trovare equilibri diversi nelle due Camere nell’esercizio dell’attività legislativa e con un Governo debole e instabile frutto del compromesso parlamentare.

Infine non possiamo non considerare che il contesto istituzionale dal 1948 ad oggi è profondamente mutato. Gran parte della legislazione nazionale deriva dall’Unione Europea e a livello sovranazionale gli esecutivi esercitano un ruolo di primaria importanza, essendo dei veri e propri legislatori. Anche per questo motivo, ovvero per incidere a livello europeo e per perseguire gli interessi nazionali, dobbiamo avere Governi forti, stabili e diretta espressione dei cittadini affinché questi ultimi possano contribuire a definirne la linea politica e programmatica.

Nel valutare questa riforma non si possono non considerare questi aspetti. Il Pd ha sempre cercato di coinvolgere gli altri partiti per scrivere assieme la riforma. Con Forza Italia c’è stata una prima fase di dialogo e collaborazione che poi si è interrotta per motivi politici non dipendenti dal merito. Con il Movimento 5 stelle non è stato possibile dialogare, perché l’unica via sarebbe stata quella di scrivere un testo esattamente come lo volevano loro. Si tratta comunque di una riforma frutto di un ampio dibattito in Parlamento. La migliore che in questo momento storico, considerato il quadro politico, si potesse scrivere. Non è escluso che alcuni aspetti, tra cui il Titolo V, anche sulla base del funzionamento, possano essere modificati o rivisti, ma si tratta di un passo avanti molto significativo ed importante che allinea il nostro Paese ai migliori standard europei. Ora il nostro impegno deve essere quello di sostenere con forza le ragioni di questa riforma, votando e facendo votare “si” al referendum di ottobre.

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